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GIROLAMO GIGLI (1660-1722)

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Tratto da "Senesi da ricordare" di Marco Falorni.

Girolamo Gigli

Letterato e commediografo.

N. Siena, 14/10/1660 - m. Roma, 4/1/1722

Questa figura di letterato estroso e anticonformista suscita una suggestione tutta particolare. Il Gigli fu senese fin nel midollo: fazioso, cocciuto, irascibile, ma anche pieno di fantasia e di spontaneità, e soprattutto pronto a difendere i propri ideali a qualunque costo; per dirla in breve, riuniva in se tutto il peggio e tutto il meglio del senese purosangue.

Certamente egli, nella sua vita, non venne mai a patti con nessuno; inveì contro i bacchettoni e gli ipocriti, non risparmiando neppure i religiosi, soprattutto i Gesuiti, e non risparmiando tanto meno i denigratori, per qualsiasi motivo, della sua città, meglio se fiorentini; basti dire che arrivò a definire gli Accademici della Crusca, dei quali pure fece parte, come «toscana pestilenza».

Ebbe, naturalmente, molti nemici, sia in Patria che fuori; coloro che temevano la prontezza e la salacità della sua lingua e della sua penna cercarono in ogni modo di contrastarne le varie attività, non potendo fare a meno, tuttavia, di ammirarne la non comune cultura e scioltezza nello scrivere.

Girolamo nacque a Siena dalla famiglia Nenci, ma fu adottato da un prozio, per cui mutò il suo cognome in Gigli. Il vecchio parente, morendo, gli lasciò anche un discreto patrimonio, dissipato peraltro, in men che non si dica, dall'erede.

Giovanissimo, il Gigli prese in moglie Laurenzia Perfetti, più attempata di lui, da cui ebbe 12 figli. I suoi rapporti con la moglie, donna avara e bigotta, furono sempre difficili ed improntati a continui litigi. Il figlio Ludovico nutrì invece per il padre affetto e venerazione.

Il Gigli, dopo avere insegnato presso l'Università di Pavia nel 1698, fu Professore di Lettere Toscane nell'Università di Siena. Insegnò con grande passione, la stessa con la quale animava l'Accademia degli Intronati, di cui faceva parte con il soprannome de «L'Economico», e di cui fu anche Segretario.

Svolse un'ampia attività letteraria, diretta a ricerche storiche e linguistiche, ma fu anche ottimo commediografo, e perfino autore di una quarantina di componimenti musicali. La sua maggiore opera storica è senza dubbio da considerare il «Diario Senese», in due volumi, in cui, sotto la data di ogni giorno dell'anno, sono raccolte le più «insigni cose sacre e profane che illustrassero gli annali di Siena».

Il Gigli presentò, in questa interessante opera, una grande mole di notizie storiche riguardanti Siena, le sue famiglie, le sue istituzioni e tradizioni, nei secoli precedenti il tempo in cui egli visse. L'opera venne pubblicata postuma dal figlio Ludovico nel 1723.

L'attività in cui lo spirito arguto e mordace del Gigli ebbe maggiori possibilità di esprimersi fu tuttavia quella di commediografo, in cui egli, pur traendo ispirazione dal teatro francese, seppe colorire le sue commedie con una vivacità e spontaneità tutte toscane.

Celebre e fortunata fu la sua commedia «Il Don Pilone, ovvero il bacchettone falso», del 1711. Il protagonista Don Pilone è una chiara derivazione del «Tartuffe» di Moliere; la satira del Gigli è tuttavia rivolta a noti personaggi senesi, ed egli, con una serie di puntuali riferimenti alla vita della città, riesce perfettamente a calare la vicenda nella realtà senese. Anche il vivace linguaggio adottato e quello locale, quanto mai spontaneo e capace di stabilire immediatamente il contatto con il pubblico degli ascoltatori; anche questo, per il Gigli, era un modo di difendere le sue tesi filologiche sulla validità della lingua senese, mai basate, peraltro, su un gretto municipalismo, ma sempre sostenute da inoppugnabili dati di fatto in materia.

Durante il Carnevale del 1712, vincendo l'ostinata opposizione dei Gesuiti, il Gigli rappresentò in Siena, al Teatro dei Rinnuovati, «La sorellina di Don Pilone». In questa commedia egli derise la sua stessa famiglia, cercando di mettere particolarmente in ridicolo la propria moglie. Da ricordare anche la commedia «Il Gazzettino» o «Avvisi ideali», del 1712-13, in cui furono dileggiati senza pietà religiosi, accademici e cortigiani.

Frattanto il Nostro trovava anche il tempo di proseguire i suoi studi filologici, che amava infarcire con ogni sorta di spunti salaci, scherni e buffonerie, ponendosi come fine di dimostrare, prima la parità di eccellenza, e poi la superiorità del volgare senese su quello fiorentino.

Tra l'altro, raccolse tutti gli scritti di Santa Caterina da Siena e li pubblicò, nel 1717, accompagnandoli con il suo vivacissimo «Vocabolario Cateriniano», da essi tratto, e, al solito, denso di facezie e buffonerie. Quest'opera suscitò, com'era fin troppo evidente, le ire degli Accademici della Crusca, che vedevano messa in discussione la superiorità dell'idioma fiorentino. Essi, all'unisono con altri nemici del Gigli, ne fecero una questione religiosa, come se il Nostro avesse voluto mettere in ridicolo gli scritti di Santa Caterina, cosa ben lontana dalle sue vere intenzioni.

Dopo che già ne era stata proibita la lettura da una severa disposizione di Cosimo III, il «Vocabolario Cateriniano» del Gigli venne pubblicamente bruciato, per mano del boia, nella Piazza S. Apollinare a Firenze, il 9/9/1717. Il Gigli fu cancellato dall'Albo della Crusca e da quello dei Professori.

Chiamato tuttavia a sconfessare pubblicamente la sua opera, egli dichiarò di ritenere più che mai la lingua senese superiore a quella fiorentina, e che non avrebbe mai cambiato la sua opinione, neppure se per questo avesse dovuto essere gettato dall'alto di una torre; disapprovò comunque la forma ingiuriosa usata per difendere la sua tesi.

Gli Accademici della Crusca, allora, visto che il Nostro poteva costituire sempre un pericolo per loro, persuasero il Granduca ad esiliarlo dalla Toscana. Il Gigli, socialmente in disgrazia. Riparò in un primo momento a Viterbo, e quindi a Roma. Tornato a Siena nell'ultimo periodo della sua vita, trovò il patrimonio domestico in completo dissesto, a causa dell'incuria della moglie, e preferì quindi riprendere la via dell'esilio.

Morì a Roma, nel 1722, come la sua concittadina Caterina, che egli aveva tanto ammirato. In tempi molto recenti, l'Accademia della Crusca ha voluto curare la ristampa del «Vocabolario Cateriniano» di Girolamo Gigli cercando di porre rimedio, a distanza di tanto tempo, al suo imperdonabile comportamento nei confronti del letterato senese.

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