Tratto da "Senesi da ricordare" di Marco Falorni.
Educatore, ecclesiastico.
N. Genova, 22/6/1800 - m. Siena, 12/2/1883
La grande e meritoria attività svolta a Siena durante la vita, e soprattutto la monumentale istituzione che porta il suo nome e che gli e sopravvissuta, valgono ampiamente a Tommaso Pendola di essere menzionato in questa rassegna.
Il Nostro intraprese la camera ecclesiastica a soli 16 anni, entrando a Firenze tra gli Scolopi, dove compì gli studi, approfondendo particolarmente quelli di Teologia, Filosofia, Matematica, e soprattutto di Astronomia. A partire dal 1821 fu a Siena, come Professore di Matematica e Filosofia presso il Collegio Tolomei.
Nel 1828 fondò in Siena un istituto per sordomuti che, originariamente, aveva il nome di Istituto Reale Toscano per Sordomuti. Nel 1831, grazie anche all'aiuto finanziario del Granduca Leopoldo II, l'istituto fu elevato alla dignità di Convitto.
Il Pendola dedicò ogni energia allo sviluppo del suo istituto, anche dopo essere diventato Padre Provinciale degli Scolopi, ed esso acquisi presto notevole fama a livello nazionale. Frattanto, a partire dal 1830, il Pendola aveva preso ad insegnare con passione Filosofia Razionale e Morale presso la Università di Siena, diventando presto uno dei più insigni docenti di quell'Ateneo.
Nel 1861 divenne anche Ordinario di Filosofia del Diritto, e fu addirittura proclamato Rettore Magnifico della Università senese, carica che mantenne fino al 1865, quando rinuncio spontaneamente.
Tornando alla sua attività di educatore dei sordomuti, notiamo che egli, dal 1871, diffuse il metodo orale del Padre Balestra di Como, e, nel 1873, organizzo un congresso e fondo il giornale «L'educazione dei sordomuti».
Il Pendola ha lasciato vari scritti di pregio, a carattere religiose, filosofico, pedagogico e didattico. Anche dopo la sua morte, l'istituto Pendola ha continuato a svolgere la sua opera meritoria per circa un secolo. In tempi recentissimi, le amministrazioni locali hanno incredibilmente deciso di sopprimerlo, con buona pace dei poveri sordomuti e delle loro famiglie, che da tutta Italia vi si rivolgevano, sicuri di trovarvi conforto e competente assistenza.
Varie forze sociali si stanno adoperando per promuovere la ripresa dell'attività dell'Istituto Pendola. Chi scrive non può che augurarsi che esse abbiano successo, sicuro che riaprire il « Pendola» significherebbe soltanto ridare a Siena una piissima istituzione, motivo di vanto e di grande lustro per tutta la città.
Tratto dal sito http://www.storiadeisordi.it/
Genovese di nascita e senese dì adozione vi visse infatti per 63 anni, il ragazzo si applicò allo studio, vivace, facile all’affetto, molto docile ma non trovò mai la sua vera allegria.
I genitori cercarono di distrarlo, invece il Pendola scelse l’abito religioso nell’Ordine degli Scolopi (la Congregazione fu fondata da San Giuseppe Calasanzio nel 1597 per l’educazione cristiana e gratuita) nel 1816 a Firenze e dopo 5 anni si trasferì, per l’insegnamento della matematica e filosofia, al Collegio «Tolomeo», fu in Siena e da quel periodo non lasciò più tale città. La sua vocazione missionaria per i sordomuti si manifestò quando egli vide per la prima volta dei sordomuti girovaghi fuori del suddetto «Tolomeo», fu preso da vera compassione perché trovò che erano completamente privi di istruzione, decise così studiare lo stato fisiologico del sordomuto ed iniziò con amore i primi contatti con i sordomuti nella sua prima scuola sperimentale. Il Pendola studiò gli scritti metodici dell’Abate parigino Sicard (successore di De L’Epée, primo direttore dell’Istituto parigino per sordomuti) dei quali egli non condivise tutto affermando che il sordo non aveva difficoltà ad imparare i nomi degli oggetti per condurli ad esprimersi in semplici frasi: “…che niente è difficile a chi vuole ed efficacemente vuole”. Andò quindi a Genova dal suo confratello Abate Assarotti per approfondire meglio studio e visitare i sordomuti istruiti da lui. Si interessò molto dello stato intellettuale del ‘sordomutismo’ e l’abate Assarotti incoraggiò la convinzione del Pendola sul suo insegnamento ai sordomuti il quale preferì il metodo di orale puro. Durante la sua direzione nell’istituto continuò ad insegnare filosofia nel collegio Tolomei e poi divenne Rettore (1839) fu chiamato poi come sostituto per l’insegnamento all’università di Siena per solo qualche anno ottenendo dopo il prestigioso incarico di “Rettore dell’Università di Siena” (1861-1865) dal Ministro P.I.
Padre Pendola mantenne con sforzo fino ai 1866 i suoi molteplici incarichi come Direttore dell’Istituto Sordomuti e rettore del Collegio, lo stesso Pendola fu anche Padre provinciale (Superiore) delle Congregazione Pie Scuole Fiorentine ma non resistette più di tre anni (1845/1848) per assolvere i compiti che lo obbligavano a lasciare la città di Siena ed i suoi amati figli sordi.
Comunque, dopo di che scelse di dedicarsi solo ai sordomuti in quanto l’opera divenne il punto di riferimento per l’importanza dell’istruzione e la moltiplicazione delle attività didattiche (la sezione maschile, la sezione femminile e gli allievi provenienti dalla soppressione dell’Istituto di Pisa), nonché i contatti con le massime autorità del Granduca, e poi del Regno d’Italia, e degli Istituti sparsi in tutta Europa per gli scambi delle esperienze pedagogiche.
Il Sommo Pontefice Gregorio XVI fece chiamare il Pendola a Roma per progettare l’istituzione per i sordomuti fondato da lui, e conoscendo la sua rarità di sapienza e di carità, gli propose di venire a Roma per dirigere il Pontificio Istituto per sordomuti (1841) con il titolo da vescovado, ma il Pendola, piangendo per la mancanza di obbedienza, disse “Santo Padre, io avrei in Roma dei pupilli, mentre in Siena lascerei orfani i miei figli....”.
Il Papa lo comprese e commosso lo lasciò tornare a Siena con la Sua apostolica benedizione.
Anche il Papa Pio IX, dopo gli impegni pontifici ad una cerimonia che si svolse in Siena (1857) volle visitare l’Istituto e rimase colpito dalle parola dei sordomuti ed esclamò: “Morto un Papa se ne fa un’altro; ma un altro Padre Pendola non si rifà”.
I fratelli Gualandi furono ricevuti da Pendola che li incoraggiò a fondare le scuole di Bologna e di Firenze (divenute poi la grande opera dei loro missionari) e li istruì all’insegnamento ai sordomuti come titolo di riconoscimento. L’amicizia tra il Pendola ed i fratelli Gualandi fu molto stimata e contribuì allo sviluppo del progetto scolastico.
Tra il noto educatore milanese Sac. Giulio Tarra del Pio Istituto Sordomuti ed il Pendola si instaurò una profonda amicizia con scambi scientifici sulla pedagogia per l’istruzione dei sordomuti. Anche lui, come il Pendola, era convinto che il sistema migliore per educare il sordo fosse il metodo orale puro.
Il Pendola organizzò il primo congresso nazionale dei maestri dei sordomuti a Siena nel 1853 nel Collegio “Tolomei” ed alla conclusione dei lavori del Congresso venne riconosciuta la validità del metodo voluto del Pendola e poi confermato dal successivo importante Congresso Internazionale a Milano (1880) presieduto dal Tarra. Il Pendola aveva 80 anni non presenziò a Milano per lavori congressuali evitando il faticoso viaggio ma lo seguì a distanza per difendere la sua linea per bene dei sordomuti nella parola viva.
Come e’ noto con il Congresso di Milano si concluse il travaglio di Pendola per le divergenze metodiche ad unico metodo “Oralismo” sperimentato da anni dal Pendola (Siena), dal Tarra (Milano), dal Provolo (Verona) e dai dirigenti di altri Istituti Europei.
Questa fu una conclusione felice per il Pendola che poté andare in Paradiso con la certezza dì una scelta saggia e condivisa indistruttibilmente da tutti i grandi maestri degli istituti internazionali dei sordomuti.
Nel 1878 il Pendole fondò una scuola di metodo per il conseguimento di uno speciale diploma per l’insegnamento ai sordomuti e dopo tre anni, nonostante la sua età avanzata accettò l’incarico gravoso di presiedere la commissione nominata dallo Stato per progettare la legge sull’educazione dei sordomuti (1881).
Egli fu autore di numerose opere e saggi pedagogici e della rivista fondata da lui e degli epistolari con gli Educatori noti di tutto il mondo, ricoprì altri incarichi molto importanti oltre quelli sopradetti e tu insignito di numerosi titoli di riconoscimento e di cavalierato dei vari ordini civili e religiosi.
La vita di Pendola non fu facile e le sue lotte faticose anche se fatte con passione e gioia nelle vittorie, ma seppe ben distribuire il suo amore “Io ero nato per amare, educato ad amare e non sapea che amare”. Amò molto i suoi figli che gli erano sempre vicini, fu stimato dai cittadini senesi che lo salutavano con grande rispetto. Nei cinquant’anni di incarichi sia per i sordomuti sia per il Collegio dei Scolopi non pretese assolutamente niente e visse praticamente nella povertà ma la sua saggezza fu un’enorme ricchezza. Purtroppo Pendola non resse alla vecchiaia. L’ultimo anno della sua malattia il Sac.Tarra da Milano venne a trovarlo e gli parlò lungamente confortandolo con tutto il suo affetto e con l’amicizia profonda ed intime che li legava e prima della sua partenza il Pendola gli disse: “Una sola cosa mi dispiace: ed é di distaccarmi dei miei poveri sordomuti…”.
La morte di Pendola nella sua povera camera dell’Istituto fu un inconsolabile dolore per i sordomuti ai quali lasciò il suo prezioso testamento spirituale. Il funerale fu grandioso alla presenza delle massime autorità di tutta la città di Siena e dei sordomuti dai piccoli agli ex-allievi. Fu seppellito nel cimitero dei poveri con la semplice scrittura da lui dettata quando era in vita “Qui dorme in Gesù Cristo il Padre Tommaso Pendola delle Scuole Pie, nato in Genova il 23.6.1800 e morto in Siena il 12.2.1883 - Pregate per Lui”.
Il suo pensiero sul metodo è sempre valido oggi. Di fatto i suoi esempi ed i suoi messaggi sono moderni ed attuali sul sistema tecnico per l'insegnamento e la riabilitazione all’educazione dei sordomuti.
I suoi appunti sono ripescati dagli studiosi di oggi per i convegni ed i congressi sull’istruzione dei sordomuti.
Uno dei suoi scritti ribadisce che il sordo è una persona umana ed anima “È egli (il sordomuto) forse un’autonoma operante come una macchina, o... privo d’intelligenza,...? No: in lui vive un’anima che possiede la facoltà tutte proprie della umana natura; - a conoscere il vero, ad amare il bene; un’anima, che ha bisogno di essere affrancata dalla servitù del corpo per mezzo di una educazione che volga e sottomettere gli oggettivi e gli istinti alla legge della giustizia e carità”.