Palio di Siena, quando i colori dell’Oca fecero paura al potere: il “caso politico” del 1832
Nel Granducato di Leopoldo II, una semplice festa si trasformò in processo per sospetto patriottismo: così il tricolore di Fontebranda finì sotto il mirino della polizia tra rivalità, identità e tensioni preunitarie. di Andrea Bianchi Sugarelli. 14 Agosto 2025
Nel corso dei secoli la politica ha giocato un ruolo centrale anche nel Palio di Siena. Basti pensare alle vicissitudini di Aquila e Tartuca, ma anche dell’ultimo rione vittorioso, quello dell’Oca i cui colori – verde, rosso e bianco – sono da sempre fra i più riconoscibili e discussi. Bettino Marchetti, nel suo opuscolo del 1915, rivendicò con orgoglio l’uso storico di questi colori, sottolineando come essi precedano il tricolore nazionale italiano, nato solo alla fine del Settecento e ufficializzato nel 1848. La storia dei colori contradaioli si intreccia anche con quella cittadina e nazionale, in un contesto ricco di significati politici e culturali. Nel 1824, il Granducato di Toscana era governato da Leopoldo II, che, pur incline al conservatorismo, si trovò a gestire crescenti tensioni liberali e nazionaliste. Temendo agitazioni tra la popolazione, in particolare tra i giovani e gli studenti, il governo adottò un controllo serrato della vita cittadina, che si rifletteva anche nelle festività legate al Palio. Nel 1999, un opuscolo di Sergio Profeti per le edizioni Sunto ha raccontato splendidamente questa storia fatta di quotidianità, sospetti, cospirazioni e intrecci istituzionali.
Il Palio dell’agosto 1832 e il “caso politico”. Durante il Palio del 16 agosto 1832, vinto dall’Oca con il fantino Gobbo Saragiolo, l’esultanza dei contradaioli si trasformò in una grande festa: circa 200 persone, uomini e donne, percorsero la città gridando “Oche, Oche”, passando da Fontebranda fino a Porta Romana e al Teatro dei Rozzi. La manifestazione fu interpretata dalle autorità del tempo come un potenziale assembramento sovversivo, specialmente per il triplice colore della bandiera dell’Oca, ritenuto allusivo all’unità nazionale.
La polizia, già all’erta per “clamori sospetti”, iniziò a seguire il gruppo, monitorando ogni spostamento. Due agenti, Giovanni Maria Morandi e Didaco Mariotti, testimoniarono di aver visto gli ocaioli muoversi tra Casato, Duomo e Tartuca, gridando sempre “Oche”, e talvolta “Tartuche”. Le forze dell’ordine interpretarono questi cori come un simbolico scontro politico tra i colori dell’Oca (associati al tricolore italiano) e quelli della Tartuca (giallo e nero, visti come conservatori e filo-austriaci).
Tuttavia, dagli stessi atti si deduce che il grido “Tartuche” era solo la risposta dei tartuchini che rivendicavano il proprio territorio, senza reali motivazioni politiche.
Il processo e i protagonisti. Il 17 agosto iniziò un processo (detto “atto economico”), privo di difesa legale, contro 16 imputati di vari ceti: studenti, medici, negozianti, e artigiani, quasi tutti giovani e istruiti (aspetto che destava sospetto presso le autorità). L’accusa si basava principalmente sulle relazioni delle ‘spie’ Morandi e Mariotti e sulle testimonianze di Antonio Paci e Giuseppe Campana, che evidenziavano la natura territoriale più che politica della contesa.
Durante il dibattimento, la superficialità delle indagini emerse chiaramente: molti imputati vennero riconosciuti solo di sfuggita, altri furono semplicemente associati al gruppo per testimonianze indirette. Nonostante ciò, il Tribunale decise pene leggere, coerenti con la politica di Leopoldo II, più preventiva che punitiva: solo Enrico Montucci fu condannato a tre giorni di arresti domiciliari per “pregiudizi politici”, altri tre (Nini e Guerri, oltre a Montucci) dovettero rientrare a casa all’Ave Maria ogni sera. Gli altri furono assolti o semplicemente richiamati a Corte, con l’avvertimento di evitare future “riunioni sospette”.
Il valore dei colori. L'episodio del 1832 testimonia come i colori dell’Oca abbiano assunto, nel periodo preunitario, un significato che travalicava la sola appartenenza contradaiola per lambire la sfera politica. Il processo, però, si rivelò infondato dal punto di vista proprio politico: i cori e le rivalitàsenso di appartenenza e di vivace territorialitàcospirazione. Ciò nonostante, il clima di sospetto e controllo dell’epoca trasformò una festa di gioia popolare in un “caso” giudiziario, che resta ancora oggi uno degli episodi più curiosi della storia del Palio e della Contrada dell’Oca.