Bicchierino, il fantino che vinse il Palio piangendo. Lacrime di dolore e crisi isterica del giovanissimo Pietro Tarquini. (di Emanuele Giorgi)
Questa è la storia di Pietro Tarquini detto Bicchierino, giovane fantino di Montepulciano che il 2 luglio 1844 conquistò il Palio ìndossando il giubbetto della Nobile Contrada del Nicchio.
Una vittoria epica, guadagnata con la rabbia e l'incoscienza che solo un sedicenne poteva mettere in campo.
Nato il 3 novembre 1827, Tarquini era un semplice garzone di bottega, soprannominato con un certo macabro affetto Morticina. Debuttò in Piazza del Campo nell’agosto del 1843 per la Contrada dei Pispini, ma la consacrazione arrivò solo l’anno successivo.
Pedro Almodòvar nel 2019 firmò uno dei suoi film più intimi, "Dolor y gloria". Titolo che sarebbe perfetto anche per raccontare la storia di Bicchierino, sospesa tra sofferenza e trionfo, caduta e riscatto.
Quel 2 luglio, Tarquini si presentò al canape dopo aver vinto tutte le prove, in groppa al morello del Berni di Santa Regina. Il suo talento era sotto gli occhi di tutti, ma proprio nel momento cruciale conobbe il dolore. Non un tormento dell'anima, ma un dolore violento e fisico.
Nello sgomitare e nella confusione della mossa, il cavallo del Nicchio passò sotto al canape, facendo precipitare a terra il giovane fantino. L'impatto col duro tufo della piazza fu violento. Tarquini scoppiò in un pianto disperato, quello che oggi definiremmo una vera e propria crisi isterica.
I giudici della mossa provarono ad aspettare, sperando che il ragazzo riuscisse a rimettersi in sesto. Alla fine, decisero di dare la mossa comunque, lasciandolo a terra. Ed è a questo punto che il dolore lasciò spazio alla gloria. Un nicchiaiolo, un certo Giuseppe Picchi, vedendo la scena, non potè sopportare che la sua contrada rinunciasse così al Palio, come raccontato da Alberto Fiorini nel suo “Storia del Palio per immagini”.
Picchi prese Bicchierino di peso e lo rimise sul cavallo. Fu allora che accadde l'impensabile. Ferito, scosso e ancora in lacrime, Tarquini si lanciò in una corsa furiosa e disperata, che presto sarebbe diventata leggendaria. Il giovane si fece largo tra avversari esperti, cavalcando con forza e determinazione.
In quella Carriera c'erano nomi che ancora oggi risuonano nella memoria collettiva senese: Campanino nella Chiocciola, Figlio di Bonino nell’Onda e Gobbo Saragiolo nella Torre. Il Drago, con il fantino Saltatore, scattò per primo alla partenza, ma fu subito superato dall’Onda. Alla curva di San Martino si formò un gruppo composto da Onda, Oca, Chiocciola, Drago, Montone e Selva.
L’Onda provava a ostacolare l’Oca, che cercava di superarla, mentre le altre contrade restavano indietro. Al secondo San Martino cadde l’Oca a causa delle manovre dell'Onda e della Chiocciola. Proprio l’Onda, in questo frangente, perse momentaneamente il comando, salvo poi riuscire a rimettersi in corsa.
Ad approfittarne fu la Chiocciola, che balzò in testa solo per un instante, prima di essere superata nuovamente dall'Onda. Tuttavia, sul finire del secondo giro, all’altezza della Costarella, entrò primo il Nicchio, che era partito per ultimo e riuscì a recuperare il distacco senza impedimenti.
Tutti provarono a ostacolare la rimonta di quel fantino che stava indossando il giubbetto del Nicchio, ma Bicchierino non si fermò. Ricorse al nerbo quando necessario, resistette agli attacchi e, proprio all'ultimo giro, riuscì a superare l’Onda, arrivando per primo al bandierino. Si racconta che al traguardo fosse ancora in lacrime. Bicchierino aveva vinto. Piangendo.
Da quel giorno, come spesso accade con le gesta eroiche, le leggende iniziarono a fiorire. Qualcuno arrivò persino a dire che il ragazzo fosse morto immediatamente dopo la corsa, stremato dai tanti colpi subiti.
Fortunatamente si tratta solo di un'esagerazione, ma la sua impresa fu tale da scatenare l'euforia nei Pispini, che gli dedicarono due sonetti diffusi nei giorni successivi in tutta la città.
Negli anni successivi, Bicchierino si presentò altre sette volte al canape, senza però riuscire mai più a sollevare al cielo il nerbo. Ma quella Carriera, vinta tra le lacrime, lo aveva già consegnato alla storia del Palio.