L’annuncio della fine della Grande Guerra fu dato alla cittadinanza la sera del 4 novembre 1918 con il suono del Campanone della Torre del Mangia. La popolazione si riversò nelle strade e le Contrade esternarono la loro gioia spiegando le proprie bandiere accanto ai vessilli nazionali.
Il Palio fu ripreso il 2 luglio 1919, tra l’aspettativa di tutti i senesi, ansiosi di manifestare il proprio giubilo per la fine del conflitto con lo storico spettacolo di Piazza.
Per la verità furono fatte anche diverse proposte per un Palio Straordinario. Una parte della cittadinanza si pronunziò perché si corresse il 27 aprile (Domenica in Albis), altri proposero il 24 maggio (anniversario della dichiarazione di guerra), altri ancora suggerirono la prima domenica di giugno in coincidenza con la Festa dello Statuto Albertino.
A tagliare corto a tutte queste diverse opinioni, il Magistrato delle Contrade, nella sua adunanza del 16 marzo 1919, espresse all’unanimità il parere che non si dovesse correre alcun Palio prima di quello ordinario del 2 luglio, e dette incarico al proprio Presidente Comm. Carlo Alberto Cambi Gado di prendere in proposito gli opportuni accordi con l’autorità municipale, affinché la ripresa dell’attività paliesca avvenisse con sfarzo e decoro.
Il Comune, appreso il desiderio del Magistrato, deliberò che la prima corsa delle Contrade dopo la fine del conflitto fosse disputata il 2 luglio per non alterare la continuità cronologica della festa. Il popolo chiamò questa Carriera “PALIO DELLA VITTORIA”.
Nella previsione di una ripresa delle carriere annuali, l’Economo comunale si preoccupò subito dello stato di conservazione dei costumi dei figuranti del Comune e della composizione del corteo storico, che erano stati inaugurati nel 1904.
Nella lettera che scrisse al Sindaco in data 26 marzo 1919, il solerte funzionario fece presente che avvicinandosi l’epoca delle consuete corse annuali, e nell’intento di evitare che nel momento dell’effettuazione delle corse stesse, si debba pretendere dall’Amministrazione Comunale l’effettuazione del Corteo Storico, conforme ai sistemi adottati in passato (...), come ebbi a rilevare al principio dell’anno 1915, i gruppi delle Comparse ai quali provvedeva il Comune direttamente, non possano effettuarsi.
Le ragioni in allora da me esposte, e ritenute giuste – si permise di ricordare l’economo –, provocarono per parte della On.le Giunta la nomina di una Commissione che doveva riferire in merito ai rilievi da me fatti, e la Commissione suddetta, compiuti i suoi lavori, rimetteva l’unita relazione che mi permetto di ricordare all’On.le Giunta. È inutile che Le dichiari che le spese occorrenti, allora preventivate, dovrebbero oggi essere elevate ad una cifra molto superiore.
La Giunta Comunale, prese atto della segnalazione dell’Ufficio Economato, e nell’adunanza del 28 marzo 1919 deliberò di far preparare un progetto di rinnovo dei costumi. Tuttavia, ritenuto che dato il costo attuale delle stoffe e delle scarpe, che non sia il caso di andare incontro, proprio ora, ad una spesa tanto sensibile che il Bilancio non potrebbe sopportare, ma convenga piuttosto restringere la spesa stessa allo stretto indispensabile, salvo provvedere in seguito a rendere il corteo delle comparse più grandioso, decise di affidare all’Economo Comunale l’incarico di preparare un prospetto dal quale resulti il minimo indispensabile per la costituzione delle comparse i cui costumi storici sono forniti dal Comune, autorizzando sino d’ora la spesa relativa che si riserva di liquidare a suo tempo.
L’economo fece le sue proposte in data 11 aprile 1919, dicendo che l’Ufficio poteva provvedere per il Capo Popolo a cavallo, per la Fanfara e per 10 o 12 armigeri che contornano il carro, e che il corteo avrebbe potuto essere così formato: Capo Popolo, Fanfara, Portatori delle Insegne del Magistrato e dei Terzi della Città (a cui avrebbe provveduto direttamente il Magistrato delle Contrade), Contrade, Carro.
Anche il Direttore di Polizia, Amerigo Pellegrini, richiamò l’attenzione degli amministratori comunali sulla necessità di verificare lo stato di conservazione di tutto il materiale necessario all’allestimento della Piazza, rimettendo nelle mani del Sindaco una relazione.
Il 24 maggio 1919 la Giunta Municipale, preso atto del rapporto del Direttore di Polizia, ritenuto che per adottare i provvedimenti invocati occorreva precedentemente avere la conoscenza di vari elementi che per il momento sfuggivano ad ogni apprezzamento, deliberò: a) di dare incarico ai competenti Uffici di verificare con ogni urgenza lo stato di conservazione di tutto il metriale occorrente per le corse del palio, e di riferire sull’eventuali deficienze e sulla somma necessaria per provvedervi; b) di dare incarico ai competenti Uffici di presentare il preventivo delle spese che si presume dovere incontrare per una corsa di palio; c) di riservarsi, avuti tali elementi, di convocare i Sigg. Rappresentanti le Contrade, per le determinazioni del caso.
Un dettagliato preventivo di spese per la corsa del Palio fu presentato al Sindaco dall’Economato. Per il servizio di interro e sterro della pista, di montatura e smontatura del palco dei Giudici, di quello delle comparse, del verrocchio, e della barriera di S. Martino, compresa la sorveglianza durante le corse, per i compensi alla squadra scalpellini e ai cantonieri per montatura e smontatura dei cancelli, per la riparzione e la riverniciatura del carro delle comparse, per il rifacimento, riparazioni e riverniciatura di una parte dell’appoggio della scala del palco dei Giudici, per la riparazioni dei canapi, per riparzioni e ritoccature diverse ai cancelli del giro della Piazza, ai parapetti di fronte al Comune e alla Barriera di S. Martino, etc. fu presentata una spesa superiore alle 2000 lire.
L’Amministrazione Comunale, preoccupata, forse, del dilatare dei costi di allestimento della manifestazione, considerato anche l’elevato rincaro di tutta la vita, decise di aumentare il “deposito” solito farsi dalle Contrade partecipanti al Palio da 40 a 75 lire. Ciò determinò l’immediata protesta delle Contrade, i cui rappresentanti fecero pervenire al Sindaco il seguente esposto:
Siena, 1° Giugno 1919
Ill.mo Signor SINDACO del Comune di Siena
I sottoscritti rappresentanti delle diciassette Contrade espongono alla S.V. Ill.ma quanto appresso e cioè:
Che nel lungo periodo delle guerre le finanze delle Contrade restarono alquanto scosse per la perdita di numerose oblazioni di Protettori la cui generosità era chiamata ed assorbita da altre impellenti necessità del momento;
Che in contrapposto al nuovo apparire delle Contrade nella vita normale, esse si trovano di fronte ad un enorme rincaro di mano d’opera e di ogni genere di mercato necessario al mantenimento e rinnuovamento di tutto quel corredo necessario, anzi indispensabile, alla loro vita interiore ed esterna;
Che a siffatta penuria di mezzi le Contrade non possono far fronte con nuove entrate, essendo esse costituite per la massima parte dalle oblazioni volontarie e aleatorie dei Protettori;
Che se vuolsi riconoscere la verità, le Contrade, pure essendo l’anima indispensabile del PALIO, sono le sole che per tale spettacolo spendono somme egregie senza riceverne il benché minimo interesse, se si prescinde da quello morale di concorrere al conseguimento della desiderata vittoria: infatti, mentre tutta la città compreso il Comune ritraggono vantaggi indiscutibili dall’effettuazione di questo spettacolo grandioso, poiché il Comune può rimborsarsi, almeno parzialmente, della spesa da esso sostenuta, col maggior gettito dei dazi di consumo e per le tasse di posteggio (che dovrebbero essere applicate anche ai detentori di finestre, poiché anche essi fanno commercio a prezzi elevati delle finestre delle loro abitazioni), le Contrade in contrario sostengono la ingente spesa della fabbricazione e mantenimento dei loro costumi ora reso gravissimo specialmente per le scarpe e per le bandiere, provvedono al mantenimento del proprio cavallo e fantino, alla spesa per i figuranti in comparsa, ecc., ecc., portando infine nella esecuzione del bellissimo spettacolo quel contributo di effettiva passione che è la caratteristica più interessante di esso e che basta da solo a dimostrare come il Palio non è una coreografica riproduzione di scene d’altri tempi, ma un episodio vero e reale della vita cittadina;
Che ormai non v’è più alcuno che non sappia come anche l’ambita vittoria sia accompagnata indissolubilmente da un’ingente spesa, resa anche più grave dalle odierne pretese generali:
Per questi motivi domandano alla S.V. Ill.ma che nella ripresa assai prossima dei consueti turni per lo spettacolo del Palio, le Contrade che vi partecipano siano esonerate dal pagamento del così detto “deposito” in lire 40,10 e che le altre sette che prendono parte al corteo abbiano una corresponsione almeno di lire 30 ciascuna (invece di 20 come al presente) per i compensi dovuti ai figuranti. Complessivamente ciò rappresenta una perdita di lire 470 che all’Amministrazione Comunale non porrà pensiero di procurarsi diversamente.
Certi che l’Amministrazione Civica apprezzerà la mitezza della richiesta in tempi in cui tutto ha del fantastico, attendono fiduciosi e si confermano con ossequio della S.V. Ill.ma
per la Nob. Contrada dell’Aquila Silvio Griccioli
“ “ del Bruco Assunto Moretti
“ “ della Chiocciola Alberto Comucci
“ “ della Civetta Eugenio Faleri
“ “ del Drago Cesare Grassi
“ “ della Giraffa Antonio Terzi
“ “ dell’Istrice Cesare Fabbri
“ “ del Leocorno Virgilio Grassi
“ “ della Lupa Pasquale Franci
“ “ del Nicchio Gaetano Lusini
“ “ dell’Oca Bettino Marchetti
“ “ dell’Onda Giovanni Molteni
“ “ della Pantera Gabbriello Sozzi
“ “ della Selva Giuseppe Bindi Sergardi
“ “ della Tartuca Alfredo Venturini
“ “ della Torre Carlo Biagi
“ “ di V. Montone Arturo Bartalini
Il 4 giugno, alle ore 10, fra l’attesa di una grande folla festante, furono sorteggiate con le consuete formalità Torre Drago e Tartuca, che si aggiunsero alle sette Contrade che avrebbero dovuto correre d’obbligo il Palio di Provenzano del 1915: Selva, Chiocciola, Aquila, Valdimontone, Leocorno, Lupa e Giraffa. Presiedette l’adunanza l’assessore conte dott. Emilio Piccolomini.
Al termine della tratta seguirono i consueti interventi per le raccomandazioni dei capitani delle Contrade al Sindaco. Il rappresentante della Torre chiese all’assessore Piccolomini che la Giunta Comunale soddisfacesse i voti più volte espressi dalle Contrade, affinché l’estrazione dei posti al canape per il giorno del Palio fosse eseguita alla presenza dei dieci Capitani.
L’assessore dichiarò che la proposta era inaccettabile, perché metteva in dubbio l’imparzialità del primo cittadino e ne menomava l’autorità; assicurò che, per delega avuta dal Sindaco Emanuello Pannocchieschi d’Elci, l’estrazione in parola sarebbe stata fatta da lui stesso con la massima segretezza.
Il dott. Virgilio Grassi, rappresentante del Leocorno, riaffermò la piena fiducia delle Contrade nel Sindaco, ma propose che per dare soddisfazione alle consorelle il Sindaco procedesse alle estrazioni di quattro diversi ordini di mossa da chiudere in buste sigillate, consentendo poi ai dieci Capitani di sceglierne una per la chiamata al canape.
Si oppose l’assessore Piccolomini, che fece notare come con questa proposta si veniva a sminuire la fiducia nella persona del Sindaco; tuttavia dichiarò che avrebbe informato della richiesta la Giunta. Comunicò inoltre che la Giunta, considerata la maggiore spesa richiesta dall’effettuazione del Palio, era dispiaciuta di non poter accogliere le richieste contenute nell’esposto del 1° giugno 1919, ma che il “deposito” era confermato in £ 40, e che l’indennità a favore delle Contrade che non avrebbero corso sarebbe rimasta ferma in £ 20.
Infine, i rappresentanti delle dieci Contrade partecipanti al Palio proposero alla Giunta Municipale la conferma del vecchio mossiere sig. Venturino Benvenuti.
Le raccomandazioni di Torre e Leocorno per il sorteggio dei posti al canape furono oggetto di una riunione della Giunta Municipale, che il 12 giugno deliberò di non accogliere il voto formulato dai Sig.ri Rappresentanti le Contrade. Nella stessa adunanza la Giunta stabilì di elevare da £ 50 a £ 150 la vettura da corrispondersi ai proprietari dei dieci cavalli scelti per il Palio.
Fin dal giorno dell’estrazione delle Contrade – annota il cronista Silvio Griccioli – si notò come l’amore dei Senesi per le storiche Contrade, e l’entusiasmo per il Palio, non fosse affatto diminuito, ma anzi accresciuto nei quattro anni di guerra. Mai Palio fu atteso con tanta ansia, e mai il suo svolgimento fu seguito con tanto interesse da parte di tutta la cittadinanza come il presente. Segno questo evidente che, nonostante il turbine della guerra, la vecchia anima senese si era mantenuta sempre la stessa, gelosa custode dell’antico suo spirito, che la rese grande nel passato, e che nessun evento potrà mai far cambiare.
La mattina del 29 giugno 1919, dinanzi ad un pubblico straordinariamente numeroso, furono provati ed assegnati i cavalli alle Contrade. I soggetti dati in nota furono quattordici. Tuttavia le prove cominciarono assai tardi perché nessun fantino si era presentato nel Cortile del Podestà per montare i cavalli. Allora l’assessore Emilio Piccolomini, al quale era affidata la direzione dello spettacolo, d’accordo con i rappresentanti delle dieci Contrade e con i Deputati allo Spettacolo, Sig.ri Enrico Pontecorboli e Luciano Zalaffi, emise un’ordinanza con la quale si avvertivano i fantini che non avrebbero potuto prendere parte al Palio se non si fossero presentati per provare i cavalli.
Si misero immediatamente a disposizione dell’autorità municipale quattordici fantini: Alduino Emidi, Alfonso Menichetti, Guido Sampieri, Ottorino Luschi, Guido Pipeschi, Arturo Bocci, Angiolo Meloni, Eduardo Furi, Carlo Magnelli, Aldo Mantovani, Eleuterio Salvucci, Agostino Papi, Pilade Del Porro, Bruno Cianetti.
Durante le prove (i cavalli furono divisi in quattro batterie) non si ebbe a lamentare il minimo incidente. I fantini furono assegnati ai cavalli da provare mediante sorteggio. Il fantino Eduardo Furi detto Randellone, dopo aver corso la seconda prova, si rifiutò di montare il cavallo n° 12, inserito nella quarta batteria, e pertanto fu minacciato di esclusione dal Palio.
I migliori soggetti toccarono all’Aquila (un baio del cavallaio dott. Giuseppe Cambi), alla Chiocciola (Scodata, un baio bruciato di Lorenzo Franci) e alla Torre (Stellina, un baio con stella in fronte di Menotti Busisi). Era giudicati buoni, ma un poco inferiori ai primi tre, quelli andati in sorte al Val di Montone, al Leocorno e alla Selva; mediocri quelli assegnati alla Tartuca e alla Lupa; cattivi quelli di Drago e Giraffa.
Le tre favorite fissarono subito con i rispettivi fantini, mentre nelle altre contrade vi furono movimenti molto intensi che si concretizzano nella quarta prova. L’Aquila ingaggiò Alfonso Menichetti d. Nappa, la Chiocciola Angelo Meloni d. Piccinetto o Picino e la Torre Eduardo Furi detto Randellone.
La sera del 29 giugno, davanti ad un pubblico numeroso, fu corsa la prima prova. Un prolungato applauso accolse i fantini al loro uscire dalla Corte del Podestà. Fin da metà giugno il Prefetto della Provincia di Siena Vitelli aveva emanato un’ordinanza per assicurare l’ordinato e regolare svolgimento delle prove e della carriera.
Le prove, connotate da un certo alternarsi di fantini tra Contrade, si svolsero con regolarità. Bubbolo corse due prove nel Drago, una nella Tartuca e poi si presenterà al Palio nella Selva. Rombois iniziò nella Selva per poi passare al Drago e correre il Palio nella Tartuca. Fulmine corse due prove nella Tartuca, una nella Selva e il Palio con la Lupa che passò il fantino Cispa al Leocorno. Nella Giraffa iniziò Zaraballe, poi Pioviscola vinse la concorrenza di Carlo Magnelli.
Durante i quattro giorni delle prove sulla stampa cittadina comparvero alcuni articoli che inneggiavano al rinnovarsi della manifestazione dopo la pausa bellica.
Significativo l’articolo intitolato “Rinascita”, comparso nel “Nuovo Giornale” di Firenze, n° 162 del 2 luglio 1919. Il giornale “La Vedetta Senese”, nel suo numero 151 del 30 giugno - 1° luglio 1919, pubblicò un “pezzo” intitolato “Nella Piazza del Campo”, che decantava la magica atmosfera e la quiete dell’immenso teatro in certe sere stellate, per poi chiedersi: Ma dov’è più in questi giorni d’ebbrezza, la quiete serena della conchiglia meravigliosa? Dov’è più la bellezza raccolta e l’errante sogno di pace? Sporgono dai davanzali gli arazzi purpurei, sono fasciati di rosso, di un vivido rosso uniforme i balconcini e le terrazze; ondeggiano le bandiere, bandiere di tutti i colori e di tutte le rabescature, alle finestre, alle torrette, agli angoli dei vicoli e delle strade.
S’alzano le gradinate fitte e unite, fronteggiate oltre la striscia gialla di terra dalle cancellate di legno; trionfa lussureggiante il palco dei giudici nella scesa della Costarella.
L’articolista, firmatosi L.B., continuava con la descrizione enfatica della Piazza invasa dalla folla nei giorni della festa, e proseguiva: La festa vuol dire tutta la vita di tutto il suo popolo: la piazza è l’altare di tutte le poesie, di tutte le cerimonie; la vittoria, aspra, disputata, contesa, è il culmine supremo di tutti i palpiti e di tutti i desideri. Non c’è niente di fuori che valga, per l’anima senese immedesimata nella sua tradizione e nella sua gloria, tanto profumo di seduzione, tanta frenesia d’interesse.
Ieri l’altro, dopo la mezzanotte, le edizioni dei giornali che annunciavano la pace di Versailles, lasciavano indifferente la folla che dal Teatro si snodava nella Piazza, vestita allora coi suoi abiti di festa. Ma si fermava poi tra l’ondeggiare delle piccole masse di contradaioli infatuati, che seguivano le mosse di due cavallucci a testa bassa, spaventati alla ripresa dell’antica tenzone. E vi rimaneva due, tre ore, in continuità vivace di voti e di commenti.
Ieri alla prima prova, dopo cinque anni di silenzio, migliaia di persone assiepate in ogni angolo, in ogni finestra e nella conca gigante, dissero ancora lo spasimo della trepidazione frenetica e commossa.
E concludeva: O voi forestieri che mormorerete “Perla del monte addio candida Siena / Dalla mano degli angeli scolpita”, quando ricorderete ancora questa superba onda di fanatismo, che si scatena gioconda in una luce di grazia e di grandezza, tra il rullio dei tamburi, i cortei multicolori e lo sventolio delle bandiere?
Ben più interessante fu le lettera di un lettore di nome Augusto Pacini, pubblicata nel medesimo numero della “Vedetta Senese”.
Il Pacini propose all’attenzione dei lettori e delle Autorità Municipali una sua idea per rendere più bello il già splendido spettacolo medioevale e per conferire maggiore solennità al Palio della Vittoria: la sbandierata finale dei diciassette alfieri, schierati nella spianata antistante il Pubblico Palazzo, tra il rullare dei diciassette tamburi e lo squillare delle chiarine.
Preg.mo Signor Direttore della “Vedetta Senese”.
Per dare una maggiore solennità al Palio della Vittoria, io che sono un ammiratore di tutte le bellezze di Siena, mi permetto esporre un’idea che dovrebbe aggiungere una nuova attrattiva allo splendido nostro spettacolo medioevale.
Quando il corteo delle comparse ha terminato il giro della Piazza, dovrebbero gli alfieri di tutte le Contrade schierarsi lungo la pista dalla Cappella al principio della Via Giovanni Duprè, in prospicenza del Pubblico Palazzo e al suono riunito dei diciassette tamburi e allo squillare delle trombe fare una grandiosa sbandierata innalzando poi tutti i vessilli in segno di festa e di esultanza ai nuovi destini della Patria.
Se ritiene buona tale proposta la prego di pubblicare.
Con ossequio / Siena 30 Giugno 1919 / Augusto Pacini
Questo saluto finale di tutte e diciassette le Contrade, suggerito dal Pacini, fu favorevolmente accolto dall’Autorità Comunale e dalle Contrade. Poiché riscosse l’unanime consenso di tutto il pubblico, fu introdotto in maniera permanente a conclusione del corteo storico con il nome di “sbandierata della Vittoria” o “sbandierata finale”.
La mattina del 2 luglio, alle ore 6, fu celebrata nella Cappella esterna del Palazzo Pubblico la santa Messa, funzione che da molti anni era stata sospesa, ed alle 8 il campanone “Sunto” dette con i suoi solenni rintocchi l’annunzio della festa.
Alle 18,30 fu iniziato lo sgombero della pista ed alle ore 19 la “Marcia del Palio” segnalò il solenne ingresso nel Campo del corteo storico, che fu salutato dall’applauso di una folla trepidante e dei soldati reduci della Grande Guerra ricoverati negli ospedali militari, che per l’occasione erano stati sistemati in un’apposita tribuna.
Lo sfilamento del corteo fu molto regolare, e destò come sempre un senso unanime d’ammirazione e di entusiasmo; per i forestieri fu di grande effetto il giuoco delle bandiere. Da notare che in data 19 giugno 1919 il Magistrato delle Contrade aveva approvato un tariffario per i componenti le comparse. All’epoca non era infrequente che una Contrada, non disponendo di propri figuranti, per completare la comparsa dovesse ricorrere a persone appartenenti ad altre Contrade o simpatizzanti, provenienti dai paesi viciniori. Specialmente le prestazioni dei tamburini e degli alfieri particolarmente abili dovevano essere compensate. Furono approvate due tariffe: quelle riguardanti le comparse delle Contrade che non correvano erano inferiori a quelle delle comparse delle Contrade che non partecipavano al Palio.
Ad esempio, ai tamburini ed agli alfieri - secondo la “tariffa A” - fu riconosciuto un compenso di 10 lire, al due 8, ai cinque paggi 5, al padrone del cavallo, detto soprallasso, 10, al barbaresco L. 10 solo per vestirsi da comparsa; mentre fu rilasciato a ciascuna Contrada lo stabilire la paga da corrispondersi al medesimo per il servizio di stalla nei giorni delle Prove e del Palio.
Un vero scroscio di applausi accolse l’ingresso in piazza del Carroccio ornato delle bandiere delle 17 Contrade, dell’orifiamma del Comune, e recante un banditore, 4 trombetti ed il palio da darsi in premio alla Contrada vincitrice. Il drappellone, opera del pittore senese Aldo Piantini, recava in alto la Madonna di Provenzano circondata da un coro di angeli; al di sotto campeggiava la figura allegorica alata della “Pace Vittoriosa” in forma di ispirata donna, offerente con la destra un ramo d’olivo alla Vergine, mentre con la sinistra ritrae una spada spezzata simboleggiante il cessato conflitto.
Terminata la sfilata, il primo alfiere ed un tamburino di ciascuna Contrada si disposero dinanzi al Palazzo Pubblico, ed al rullio potente dei tamburi ed un sincrono sventolio di bandiere plaudirono insieme con il saluto al Comune e alla vittoria della Patria. La moltitudine che gremiva la Piazza – racconta il Griccioli - proruppe in uno scrosciante applauso, che fu ripetuto allorché gli alfieri lanciarono in alto le bandiere.
Pochi minuti avanti le 20 – prosegue la cronaca dello storico aquilino – i fantini uscirono dal cortile del Podestà. Al vocio confuso di pochi momenti avanti seguì il solito silenzio sepolcrale; tutti i nervi tesi, la paurosa ansia dei giorni avanti, trasformata in tutte le Contrade in un fanatismo straordinario, seguirono i fantini passo a passo fino alla mossa.
Fra i due canapi furono chiamati nell’ordine seguente: 1 Giraffa (Agostino Papi detto Pioviscola), 2 Valdimontone (Arturo Bocci detto Rancanino), 3 Drago (Bruno Cianetti detto Moscone), 4 Tartuca (Eleuterio Salvucci detto Romboide), 5 Aquila (Alfonso Menichetti d. Nappa), 6 Lupa (Guido Sampieri detto Fulmine), 7 Torre (Eduardo Furi detto Randellone), 8 Leocorno (Ottorino Luschi d. Cispa), 9 Selva (Aldo Mantovani detto Bubbolo), 10 Chiocciola (Angelo Meloni detto Piccinetto).
La corsa fu subito tumultuosa. I tre migliori cavalli caddero e risultò vittoriosa a sorpresa la Contrada del Leocorno con il fantino Ottorino Luschi, soprannominato Briscola, più volgarmente, Cispa.
[...] Dalla mossa regolarissima partì primo il Montone, che subito venne passato dall’Aquila, ma avendo piegato troppo a largo, venne passato dalla Chiocciola. L’Aquila, allora, rasentando lo steccato, spinse il cavallo a tutta velocità e al principio della salita del Casato raggiunse la Chiocciola, riuscendo ad entrarle un poco avanti.
Alla voltata del Casato l’Aquila cercò di portare la Chiocciola verso i palchi, ma per la troppa velocità, il cavallo vi andò a battere contro e cadde, facendo cadere quello della Chiocciola. La Torre, che era terza, cadde pure sopra i primi due. Dato questo mucchio di uomini e cavalli nacque dell’incertezza fra gli altri sopravvenuti e la Selva e il Montone si soffermarono per non cadere essi pure. Prese allora la testa la Selva, ma a causa di un calcio avuto nella gamba anteriore sinistra da uno dei cavalli caduti al Casato, il di lei cavallo a San Martino cominciò a cedere terreno. Entrò prima allora la Lupa, seguita dalla Tartuca.
Al principio del 3° giro il Leocorno, che era 3°, passò la Tartuca e, sotto Casa Sansedoni, passò pure la Lupa. Non più raggiunta da alcuno, il Leocorno vinse senz’altro contrasto il palio, per quanto all’ultimo giro fosse molto incalzato dalla Tartuca, che a San Martino aveva passato la Lupa ed era entrata seconda. Alla vincita arrivarono: 1° Leocorno, 2a Tartuca, 3° Lupa, 4° Montone, 5a Selva, 6° cavallo scosso del Drago, il cui fantino cadde al 1° giro a S. Martino. La Giraffa si fermò pochi passi dopo la mossa. La caduta dei 3 migliori cavalli, che certamente si sarebbero disputati il palio con accanimento emozionante, tolse molto interesse all’andamento della corsa.
La vittoria del Leocorno fu salutata dallo sventolio delle bandiere di quasi tutte le Contrade; mancò però quell’entusiasmo che si sarebbe avuto se avesse vinto qualche altra Contrada, e che è come il necessario coronamento di tutta la festa. Nel rione vincitore vi fu abbastanza animazione; numerosi furono i forestieri che vi si recarono. Non si ebbe a lamentare il minimo incidente. Da Capitano del Leocorno funzionava il Seggio.
La direzione dello spettacolo era affidata all’assessore comunale Conte Emilio Piccolomini, ed ai deputati allo spettacolo Signori Luciano Zalaffi ed Enrico Pontecorboli. Mossiere il Sig. Venturino Benvenuti. Giudici della Vincita: Ing.re Enrico Giovannelli, Col.lo Aroldo Gagnoni, e Giovanni Terreni.
Il Seggio della Contrada del Leocorno, che per la mancata elezione del Capitano fu rappresentato al Palio dal Priore Dott. Virgilio Grassi. Gli altri componenti il Seggio erano i sigg. Dinelli Dante (Vicario); Cambi Gado Comm. C. A., Caprioli Natale, Savelli M.R. Prof. Venenzio, Quadri Not. Quadrante (Consiglieri); Conticelli Aurelio (Camarlingo); Sani Guido (Cancelliere). Il giorno successivo alla vittoria, la comparsa del Leocorno fece il tradizionale “giro per la città”. Il fantino Ottorino Luschi distribuì il sonetto a lui stesso dedicato.
La “Vedetta Senese” pubblicò nel numero 153 del 3-4 luglio 1919 un articolo firmato E.M.B., che definiva il Palio spettacolo unico al mondo.
IL PALIO VISTO DA UN FORESTIERO
Spettacolo unico al mondo. Ma avanti di assistervi per la prima volta si prova la preventiva diffidenza per tutto ciò che si riferisce alla sopravvivenza dell’antico costume e ci si arma della circospezione dell’osservatore critico, erudito, esteta o filosofo, e si pensa che si farà un’opera di analisi, che registreremo minuziosamente e obiettivamente la scena fra le curiosità di cui facciamo raccolta.
Ma chi già sul limitare della Costarella la magia dei colori, delle forme, dell’entusiasmo popolare ci afferra e noi non siamo più noi, ci sentiamo una sola cosa con ciò che ci attornia e quando ogni cosa è finita ci risvegliamo trasognati e sentiamo di avere vissuta un’ora indimenticabile.
Come mai questo ritorno a tempi trapassati, e quasi incomprensibili alla nostra mentalità, ha il potere di rapirci l’anima, di sollevarne l’entusiasmo, di trasportarci violentemente alla rivelazione improvvisa del segreto della vita e del fascino di questa città?
Il Palio potrebbe sembrare una magnifica mascherata, una ricostruzione, una commedia con i figurini disegnati da Caramba. Assistendovi si direbbe: Bello! Magnifico! e si avrebbe sempre la coscienza di essere a una scena di teatro. E invece assume un significato grandioso e profondo; dà il senso della commozione religiosa che ci prende ogni volta che abbiamo la manifestazione di passioni veramente vissute, sincere, popolari.
E veramente si guarda con senso di meraviglia questa gente di Siena, che, come ha conservato intatto il senso della solidarietà e della rivalità “contradaiola” che esprime con manifestazioni tipiche e curiosissime, così sa rivivere la bellezza delle meravigliose gamme di colore delle comparse.
Ma chi potrebbe immaginarsi un più incantevole Pinturicchio, fatto vivente dinnanzi ai nostri occhi? Che onda di tinte forti ed armoniose! Come si svolgono melodicamente, secondo il suono suggestivo della antica marcia dal ritmo semplice e penetrante che segna il trasfigurarsi delle forme nel lento procedere attorno alla piazza medioevale.
È veramente il tempo antico che rivive in quest’anima popolare!
Questi paggi che scandiscono il passo in pose eleganti, questi capitani che portano fieramente l’elmo, non rappresentano una parte (……) vivono.
Ecco la bellezza di questo Palio. È poesia per tutti. Si corre ora con lo stesso spirito degli antichi tempi. Tutti vi partecipano, lo comprendono, vi si trasfondono. È unità, è comunione di anime!
Dopo avervi preso parte, il Palazzo del Capitano, la Torre del Mangia, che prima noi guardavamo come monumenti pregevolissimi, la Piazza che noi ammiravamo per la forma, per la progressione scalare degli edifizi che la circondano, per il magnifico arco che disegna, per la bizzarria delle piagge che vi discendono, ora ci commuove simpaticamente l’animo, come un’amica che per un’improvvisa confidenza ci ha rivelato il più caro segreto del suo cuore.
E il popolo di Siena ha ragione di essere fiero di questi giorni di fervidissima vita poetica e di sapere vivere tutto per il Palio, mentre altrove si trama di scioperi generali, di caroviveri, di aumenti di stipendi.
Si mantenga per sempre questo esemplare della forza artistica dell’antica Italia. È come la traccia di una via perduta, che si potrà ritrovare per nuove grandezze, inimitabili fuori delle nostre Alpi. Siena in questi giorni ci mostra l’anima italiana, come era fuori delle contaminazioni straniere.
E questo ci fa riflettere molto per l’avvenire. Per la poesia e per l’ammaestramento bisogna ringraziarla.