1956: Fantino vince il Palio e viene licenziato in tronco dal datore di lavoro. La storiella variopinta di Francesco Cuttone detto Mezz'etto (di Riccardo Lorenzetti)
Ci sarebbe quella di Mezz'etto nell'Aquila che non è male. Ed è una storiella talmente variopinta da sembrare quasi inventata, se non fosse per l'autorevolezza di quelli che me l’hanno raccontata. E che mi raccontavano, sorridendo, come il Palio una volta fosse anche quella roba lì. E loro c’erano, e come si sentissero quasi privilegiati ad essere gli ultimi testimoni di un'epoca così rarefatta da sembrare lontanissima. Quando Bruco e Lupa affittavano la sala di un ristorante per la cena della prova generale, e non riuscivano nemmeno a riempirlo... “Mentre adesso qualsiasi cenino di metà settimana ne mette a tavola due o trecento".
La storia di Mezz'etto mi piacque perché un “Mezz'etto” c'era anche dalle mie parti. In un'epoca (lontana anche quella) quando ci si chiamava per soprannome, e ogni paese aveva il suo "Mezz'etto" da esibire.
E c'era quasi sempre anche un “Cicca”, se il tipo fumava parecchio; un “Negus”, retaggio delle memorie coloniali, se risultavi appena scuro di carnagione, e bastava possedere un giradischi e un paio di camicie sgargianti per farti chiamare “Americano”.
Il "mio" Mezz'etto, ad esempio, si chiamava Germano. Era del 1912, e doveva il soprannome a Spartaco della Cooperativa a alla moglie, che invece era un donnone alla Ave Ninchi, con due pocce da inciamparci sopra: “Dammi mezz'etto d'Omo”, quando anche i detersivi si compravano a peso. “Mezz'etto d'Omo, come il vostro marito” ribatteva il povero Spartaco, che aveva la battuta pronta.
E “Mezz'etto” rimase. Per l'eternità; lui, e anche il figliolo, che diventò “Mezzettino”, e tale rimase. Anche quando si era fatto uomo, e superava agevolmente il quintale.
"Mezz'etto" (quello autentico) che invece si chiamava Francesco Cuttone. Veniva da Catania, e passò alla storia nel 1956, quando il Palio non sapevano come fare a correrlo, perché pioveva che nemmeno in Amazzonia, ma intanto avevano invitato il Presidente della Repubblica in persona, e allora pareva quantomeno inelegante esporre bandiere verdi.
Andò a finire che quel Palio si corse ugualmente, sotto il diluvio, e c'è da domandarsi su dove possa arrivare il cinismo non dico degli organizzatori, ma anche di un tipo che di mestiere fa il Presidente della Repubblica...
Mi viene in mente Mattarella, che ci avrebbe messo un secondo a dire “no, grazie”, o anche Ciampi, e sicuramente Pertini. Gronchi, invece, rimane al suo posto. Imperturbabile... Forse perché, come diceva Longanesi, era “il più stronzo di tutti”; ed anche per quello era riuscito a fare le scarpe a Fanfani, e a Merzagora, che sembrava il predestinato per il Quirinale.
Quello del luglio del 1956 è un Palio che sembra bello e apparecchiato per Gaudenzia, che due anni prima ha fatto cappotto, tra luglio, agosto e lo Straordinario di settembre. Gaudenzia è una cavalla grigia quasi imbattibile, al momento, specialmente se a montarla c'è Vittorino, con il quale forma un binomio leggendario; talmente leggendario che quando Gaudenzia vince il Palio per una mezza incollatura, il primo che corre ad abbracciarla è proprio Vittorino... che però è il fantino del Nicchio, ed è appena arrivato secondo.
Succede così che Gaudenzia tocchi in sorte alla Giraffa, ma che i dirigenti optino per Primo Arzilli detto “Biondo”. E a Vittorino non resti che accasarsi obtorto collo nell’Aquila dove viene sorteggiata Archetta, che può ben considerarsi la seconda favorita del lotto.
Poi, Vittorino prende una toma da restarci quasi secco, durante le prove, e tocca grattarsi la zucca per trovare il sostituto all’ultimo momento; ed è qui che scappa fuori “Mezz'etto”, che è fantino dignitosissimo ma che fin lì si è fatto una fama sinistra di “eterno secondo” come il famoso Poulidor al Tour de France.
Intanto continua a piovere a dirotto, e qualcuno di buonsenso si domanda se non sia il caso di rimandare tutto all’indomani: il Corteo muove per la città a cadenza serrata, più adatta ad un plotone di bersaglieri che a una “passeggiata storica”, ma Gronchi e signora sono sempre lì... Gli hanno raccontato meraviglie di questo Palio di Siena, e non sarà un acquazzone fuori stagione a privarli dello spettacolo.
La Giunta municipale e il sindaco (che si è appena insediato) fa del suo meglio e, pomeriggio inoltrato, prende la decisione: si corre, e non se ne parli più... E che non si eccepisca sull'ospitalità di una città che anche sotto il diuvio saprà esibirsi nel solito tripudio di bandiere e colori. Trionfando, come sempre, immortale.
I due favoriti si guatano con sentimenti diversi: Il Biondo se la sente sdrucciolare giù per la schiena, e da un ora passeggia nervosamente intorno al cavallo.
Mezz'etto, dicono, si è addormentato beatamente in un cantuccio: devono svegliarlo all'improvviso, mentre in Piazza già distribuiscono i nerbi.
Il Palio riesce drammatico, e non potrebbe essere altrimenti. Quando si abbassa il canape, ecco che rimangono impantanate in quattro; tra San Martino e il Casato cadono anche Civetta, Torre e Drago e a contendersi i due giri che restano rimangono solo loro: Il Biondo, su Gaudenzia, e Mezz'etto, su Archetta. Che però ha già preso la testa, e non vuole più mollarla.
E sarà un volo. Per cogliere una vittoria che gli tocca, e riporta il Palio in Via del Casato dopo diciassette anni. La Giraffa è seconda: gli altri, dispersi.
Il giorno seguente, Mezz'etto lo trascorre su una nuvola: il trionfo è uscito fuori così letterario da suscitare ammirazione persino negli avversari, e La Nazione lo celebra con una foto dove elogia “la rara arditezza e abilità dimostrata in campo” (sic).
Lui ne approfitta per far visita a Vittorino, ed ha in tasca una busta con il denaro che, come onestà pretende, si ritiene congruo per una specie di risarcimento danni. Al fantino sfortunato che avrebbe corso regolarmente il Palio, se non si fosse abbottato in quel modo birbone.
Vittorino è un maremmano scaltro, con un'idea di sportività molto prossima alle idee Darwiniane; la vittoria del rivale lo ha messo di cattivo umore, e quando occhieggia il contenuto della busta, dà fuori di matto. “L'elemosina falla alla tu' mamma”, ringhia, e il turpiloquio che ne segue è tale da scandalizzare tutte le suore dell'ospedale; devono accorrere un paio di nerboruti infermieri per placare gli spiriti di Vittorino, che ha già preso il rivale per il collo, e garantito che lo strozzerebbe volentieri.
Mezz'etto scrolla le spalle, mentre le urla di Vittorino echeggiano nei corridoi. “Sono normali cose di Palio - pensa -, dove alla lunga tutto finisce per aggiustarsi”.
Smette di sorridere quando il postino, in tarda mattinata, recapita un telegramma che gli giunge dalla Ditta dove ha preso servizio da alcuni mesi: "A seguito sua assenza ingiustificata dal posto di lavoro in data 2 luglio 1956, Le comunichiamo licenziamento con effetto immediato. Distinti saluti".
Fu così che Francesco Cuttone, detto Mezz'etto passò dall’olimpo all'agenzia di collocamento, nel giro di due giorni.
Così, almeno, mi hanno raccontato quelli che c'erano. Quelli che ricordano, non senza nostalgia, la Siena del 1956: quando la guerra era ormai un ricordo lontano, e il miracolo economico bussava alle porte... Con Gronchi Presidente della Repubblica, Silvio Gigli alla radio, le cene della Prova Generale per pochi intimi, e il Palio che si correva anche sotto il diluvio.
E Mezz'etto, naturalmente. Che poi vincerà anche ad agosto, con l'Istrice. E firmerà, da disoccupato, un cappotto destinato ad entrare nella storia.