“Il Palio di Siena uno sport storico” dalla Gazzetta dello Sport del 22 agosto 1913 di Claudio Cianferotti. Così si intitolava l’editoriale della “Gazzetta dello Sport” delle 22 agosto 1913 a pochi giorni dalla carriera dell’Assunta, che aveva visto il trionfo proprio del Montone.
Come scriveva in maniera colorita il poeta-giornalista Renzo Sacchetti: “In tutte le conversazioni scoppiettano i nomi: ‘l’Aquila quest’anno ha volato male assai!’ - ‘Povera Torre, che crollo!’ - ‘Hai visto? La Chiocciola s’è rinfoderata presto presto!’ - ‘La Pantera ha perduto tutti i suoi denti sotto le nerbate’ - E Bruco, e Drago, e Liocorno, e Selva, ecc., ecc. - ‘Ma Valdimontone s’è fatta onore! E poi dicono che le corna...’ - Valdimontone è la contrada vincitrice dell’ultimo Palio che si è corso a Siena il 17 agosto”. Come ricordano le cronache del tempo, il Palio del 16 agosto 1913, rinviato al 17 per la pioggia, si prospetta assai incerto: nessun barbero presente è nettamente superiore agli altri. Nelle prove non ci sono molti cambi di monta, forse dovuti all’incertezza sul valore dei barberi.
La Torre gira Fulmine all’Aquila che passa Rombois al Leocorno che scende Scansino. Il Bruco prova Sciò e Nello Magnelli, ma all’ultimo momento sceglie Guido Rossi, liberato dalla Pantera in cui esordisce Moscone. La monta di Picino (Angelo Meloni) nel Nicchio desta molto clamore, infatti mette in contrasto per qualche tempo il fantino con l’Oca, contrada alla quale è da sempre legatissimo.
Questo l’ingresso ai canapi delle contrade e dei relativi fantini all’ordine del mossiere Pasquale Meucci: Aquila: Fulmine; Valdimontone: Rancanino su storno; Pantera: Moscone; Torre: Caino; Selva: Pioviscola; Nicchio: Picino; Leocorno: Rombois; Drago: Bubbolo; Chiocciola: Testina; Bruco: G. Rossi.
Dalla mossa partono al comando Drago e Nicchio, segue il Montone, staccato di qualche metro. A San Martino, Rancanino dall’interno passa sia Bubbolo che Picino e prende la testa con grande autorità.
La carriera sembra non avere storia, dietro il Montone le inseguitrici arrancano. Ma al terzo giro si concretizza la straordinaria rimonta del Leocorno. Rombois arriva a ridosso di Rancanino, fra i due inizia una spettacolare battaglia di nerbate. Il fantino del Montone, contando anche sulla maggiore potenza del suo barbero Storno, riesce a rintuzzare gli attacchi del Leocorno e va a vincere.
Il rinvio per pioggia del Palio ordinario causò l’annullamento di un Palio a sorpresa organizzato per il diciassette di agosto. Non resta che ricordare che il capitano vittorioso era Cesare Ciacci e il pittore del drappellone Aldo Piantini. Il palio del 1913 era già il quarto del ‘900 vinto dal Montone, dopo quelli del 28 settembre 1902 e del 3 luglio 1910 con il fantino Picino, e del 16 agosto 1908 con il fantino Nappa.
Questo un più ampio estratto dall’articolo della Gazzetta, in cui affiora una ricostruzione brillante ed arguta del Palio: “Gli uomini che si azzuffano in piazza com’è detto nei versi di Gentile Sermini vissuto ai bei tempi di Siena, sono i fantini rappresentanti ciascuno col proprio cavallo una contrada (quartiere) della mirabile città toscana e pronti a gettarsi gli uni contro gli altri a corsa finita. Più esattamente, a gettarsi contro il vincitore ch’è, per la circostanza, protetto da guardie e carabinieri. Curioso davvero questo modo di rimeritarlo per le virtù epiche dimostrate nella corsa!
(...) Il palio si corre, di regola, due volte l’anno, il 2 luglio o il 16 agosto: queste due date possono subire lievi trasposizioni. Si corrono, talvolta, altri Palii nell’anno, ma solo per eccezione. Ogni contrada per la gara inscena bellissimi costumi. Delle prime dodici contrade i costumi furono suggeriti da Raffaello: altre 5 furono aggiunte nel seicento.
Ciascuna manda alla sfilata generale, che precede la corsa, una squadra composta del capitano, dello sbandieratore, dei trombettieri, dei militi, del fantino, del cavallo e del correttore.
Singolarissimo il compito di quest’ultimo: egli deve ricondurre sulla retta via (s’intende moralmente) i contradaioli che per sventura se ne fossero scostati.
Magnifica la presenza dello sbandieratore, uomo bello e forte che, strada facendo, getta in aria lo stendardo della propria contrada e lo riprende, dopo avergli fatto fare arditissime capriole, sempre per l’aria (...).
(...) Quando tutto il corteo è nella Piazza del Campo e tutta l’area è coperta da migliaia e migliaia di senesi o di gente accorsa dal contado, e sulle finestre, sui cornicioni, sui comignoli appaiono altri grappoli umani, lo spettacolo è assolutamente indescrivibile.
(...) La sera tutta la contrada vincitrice si illumina con lampioncini di mille colori: tutte le finestre sono gremite. La squadra vincitrice, se il tempo lo permette, imbandisce le tavole all’aperto. A capotavola pranza, avendo propria mangiatoia, il cavallo vincitore.
(...) Da questo scenario, dove una coreografia vivacissima offre sotto il sole, tra le linee antiche dei palazzi e sugli sfondi tutti a pampini delle colline toscane uno spettacolo unico al mondo, poco possiamo dedurre a vantaggio dello sport, se intesa la parola nel suo significato preciso di sport ippico. Ma se vogliamo giudicare per estensione, se crediamo che a sviluppare il senso dello sport possa e debba concorrere l’educazione estetica e il divertimento, vasto e profondo offerti dallo spettacolo, se vogliamo tener conto che la vivacità con cui si discute nella folla e la violenza con cui si accapigliano i fantini - certamente eccessiva questa - sono il frutto di uno stato sentimentale ed incorruttibile dei contendenti, dobbiamo battere anche noi le mani e far voti perché questa visione di bellezza e di forza insieme congiunte ci sia conservata e la si possa tramandare intatta nello scenario che la natura e l’ingegno degli uomini le hanno dato, alle nuove generazioni.”